giovedì 16 febbraio 2017

usi e costumi Davide


USI E COSTUMI FRIULI VENEZIA GIULIA

Le feste, ancora straordinariamente vive, testimoniano il mosaico culturale della regione, con caratteristiche diverse tra Friuli e Venezia Giulia. Tipici della Carnia e del Pontebbano sono lis cidulis, rotelle di abete o di faggio forate nel centro, messe nel fuoco e poi fatte ruzzolare giù da un'altura in occasione del Capodanno o di altre feste d'inizio d'anno o di stagione. 
L'usanza proviene dai Paesi tedeschi dove è largamente diffusa, al pari della Svizzera, della Francia e dell'Inghilterra. Essa ha evidente scopo propiziatorio di fertilità e di abbondanza. Come dovunque in Italia, anche nel Friuli Venezia Giulia sono molto sentite le feste religiose che conservano, accanto alle manifestazioni liturgiche, celebrazioni di origine pagana. Grandi falò, anch'essi propiziatori, infiammano per l'Epifania tutto l'arco delle montagne. Suggestivo e di origine antica è il cosiddetto Pignarûl Grant (grande falò), che viene acceso ogni anno, il 6 gennaio, a Tarcento (UD). A Gemona del Friuli l'Epifania viene invece celebrata con la Messa del Tallero, mentre a Cividale ha luogo la famosa Messa dello Spadone secondo un rituale che risale al sec. XIV: sull'esempio degli imperatori franchi e tedeschi, un diacono col capo coperto da un elmo benedice i fedeli con uno spadone. Finalità apotropaiche hanno anche in molte località di tutto il territorio le feste di Carnevale, di cui l'elemento più significativo è rappresentato dalle maschere lignee (opera di maestri artigiani), caratterizzate da espressioni grottesche o diaboliche. La tradizione dei falò si ritrova anche in molte usanze quaresimali, come avviene a Pordenone, in occasione del famoso rogo della Vecchia. Danze e canti sono diffusi sia nell'area friulana sia in quella della Venezia Giulia. In quest'ultima la presenza del mare ha influenzato racconti, leggende, credenze e costumi, che in molti casi però sono ormai andati completamente persi. Fa eccezione il Perdon di Barbana, festa religiosa del periodo estivo che si svolge nella laguna dell'antica cittadina costiera di Grado. La tradizione in Friuli è legata anche all'uso del dialetto, lingua romanza che viene parlata – con notevoli differenze fonetiche e idiomatiche – nella Carnia, a Udine e circondario, e nel Goriziano; a Trieste predomina invece il veneto, che pure è usato sia nella fascia lagunare sia in tutto il Pordenonese. Raro ormai è vedere i friulani indossare i vestiti della tradizione (succede solo in occasioni particolari o per le manifestazioni), che però si possono vedere al Museo delle Arti popolari di Tolmezzo assieme a una serie di oggetti della cultura materiale (ferri battuti; rami lavorati a sbalzo; legni scolpiti, intagliati e intarsiati; tessuti e ricami fatti a mano; ceramiche).
Radici antiche ha infatti la tradizione artigianale che in alcuni settori si è sviluppata a livello industriale, come nel caso della produzione di sedie e di forbici e coltelli, che traggono la loro origine rispettivamente dalla lavorazione del legno e del ferro. Queste costituiscono ancora le voci principali dell'artigianato odierno, affiancate dall'arte della lavorazione a sbalzo del rame e dalla confezione delle tipiche pantofole in feltro. Dal 1922 è attiva a Spilimbergo la Scuola Mosaicisti del Friuli che ha ridato vita all'arte del mosaico presente in questa regione fin dal tempo dei Romani, come testimonia la ricchezza dei pavimenti musivi che ancora si possono ammirare ad Aquileia.
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Per quel che riguarda i sapori della tavola, la tradizionale ripartizione Friuli e Venezia Giulia non è sufficiente a documentare le tante cucine regionali. Esiste quella della Carnia, i cui ingredienti sono tipici della montagna e che è famosa per i cjarzon (ravioli ripieni di ricotta e spezie) e il frico (formaggio montasio sciolto con ingredienti come patate, cipolle o farina di mais). Esiste la cucina genericamente friulana, che ha i punti forti nei prosciutti (quello di San Daniele è dolce, quello di Sauris è affumicato), nel muset (cotechino), nella brovada (rape inacidite nelle vinacce) e nella pitina (insaccato un tempo a base di selvaggina e oggi di pecora e maiale). Esiste la cucina triestina, che fonde al substrato veneto spunti sia austriaci sia slavi: iota (minestra di crauti e patate), porcina (maiale bollito e insaporito con il cren), gulasch (stufato ungherese), cevapcici (polpettine di carne con cipolla di ascendenza slava). E c'è quella goriziana, fortemente mitteleuropea: gnocchi di patate ripieni di susine, kaiserfleisch (carré di maiale affumicato coperto di cren e crauti), kipfel (mezzelune di patate fritte). La stessa varietà di gusti si ritrova nella pasticceria, che spazia dalla gubana tipica di Cividale al presnitz e alla putizza giuliana, agli strudel e ai dolci a base di ricotta della Carnia.Frutto dei contatti con il mondo slavo è l'eccezionale tradizione regionale delle grappe, insignite in alcuni casi del riconoscimento DOCG; le si ottengono anche dalla frutta (celebri il nocino goriziano e lo slivoviz, distillato dalle prugne e originario della Croazia). I vitigni dai quali si distilla parte di tali liquori contendono la fama a quelli che danno i celeberrimi vini del Collio sia bianchi (tocaisauvignonpinot grigiopicolit) sia rossi (cabernet, pinot nero, merlotrefosco); altrettanto importanti da questo punto di vista sono la zona fra il Tagliamento e l'Isonzo, la fascia litoranea e il Carso. Fra i prodotti che vantano il marchio DOP, oltre al prosciutto crudo di San Daniele, si ricorda il formaggio Montasio.




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